Sound of metal, la recensione del film su Prime Video
Sound of metal del regista esordiente Darius Marder è una pellicola di grande impatto con protagonista Riz Ahmed. La storia che racconta è quella di Ruben, un batterista che diventa improvvisamente sordo.
Distribuito da Amazon Prime Video, il film è candidato a ben 6 premi Oscar. Tra questi, vi sono due delle categorie più importanti, ossia Miglior Film e Miglior Attore Protagonista. Sicuramente un riconoscimento di grande prestigio per Marder, allievo e stretto collaboratore del più noto regista Derek Cianfrance, autore del soggetto.
Cianfrance – autore di Blue Valentine – aveva infatti inziato a lavorare al progetto del film, basato su una esperienza semi-biografica. Anch’esso, affetto da acufene, era stato costretto ad abbandonare la carriera musicale. Tuttavia, a causa dei successivi impegni, Cianfrance decise di donare questo soggetto all’esordiente Marder, suo collaboratore nella sceneggiatura di Come un tuono.
Sound of metal, una storia di sensazioni
Sound of metal racconta la storia di Ruben, batterista del duo metal Blackgammon, che improvvisamente diventa sordo. Di colpo, vede scivolar via ciò che ha sempre dato per scontato e che è sempre stato il fondamento della sua vita, soprattutto di musicista: la possibilità di sentire.
Ex tossicodipendente, Ruben vive su un camper assieme alla sua compagna Lou, cantante del loro duo metal. Insieme percorrono chilomentri lungo le highways americane, suonando in diversi club. Tuttavia, nel bel mezzo di una esibizione, Ruben si accorge che qualcosa non va come dovrebbe. I suoni giungono ovattati alle sue orecchie, a un volume di molto inferiore al normale. Subito allarmato, ma speranzoso, Ruben cerca un consulto in farmacia, poi da un medico, ottenendo la diagnosi che non avrebbe mai voluto avere. A causa di una particolare malattia, il suo udito si sta rapidamente deteriorando. Senza possibilità di ritorno.
Convinto da Lou, si trasferisce in una comunità di ex tossicodipendenti affetti da sordità . Qui incontra colui che la gestisce, Joe, ex alcolizzato che ha perso l’udito durante la guerra in Vietnam. Un incontro, quello con Joe, che darà alla vita di Ruben una nuova prospettiva e l’insegnamento che la sordità non è necessariamente un handicap.
Minimal ma potente
Per quanto il soggetto – la storia di un musicista che perde l’udito – si possa prestare a facili banalità di sceneggiatura, il film non è banale. Anzi, è quanto di più lontano dall’essere il racconto di una storia scontata e già sentita. La regia e lo script sono minimali, mai forzati e per questo non sono meno privi di intensa carica emotiva. Il lavoro di Marder sul soggetto di Cianfrance è raffinato ma non artificioso e preferisce raccontare non per parole ma per immagini. Non per rumori ma per silenzi. La fotografia stessa si accompagna alla sceneggiatura e alla regia, prediligendo sguardi asciutti e primi piani non casuali.
Non a caso, la pellicola si regge sull’interpretazione laconica ma struggente di uno straordinario Riz Ahmed. Interpretazione, questa, che è valsa all’attore di origini pakistane numerose candidature a premi prestigiosi, tra cui quella agli Oscar. Con la sola potenza dei movimenti del suo corpo e degli occhi, Ahmed è in grado di trasmettere l’intensità del portato emotivo che caratterizza Ruben e la storia di tristezza, accettazione, riscoperta di sè e profonda speranza.
Non meno sorprendente l’interpretazione di Paul Raci, che veste i panni di Joe. Raci, attore statunitense figlio di genitori sordi, anch’esso sordo e veterano nella guerra del Vietnam, fa suo un ruolo che, non a caso, incarna a pieno l’essenza stessa della sua vita.
Il silenzio fa rumore
Sound of metal è una pellicola che non ammette una visione passiva. No, non è il film alla Christopher Nolan che chiede uno sforzo logico e mentale per accedere a un complesso e fascinoso ragionamento alla base. Si tratta però di un film da fruire come un’esperienza immersiva e totalizzante. Possibilmente nel silenzio completo. Al buio. Senza distrazione alcuna. Il lavoro sul sonoro è così preciso e aderente al reale da lasciare senza fiato. Per tutta la durata del lungometraggio, la sensazione, tra rumore stridulo e silenzio pressante sulle orecchie, è quella di essere Ruben, di sentire ciò che lui sente. Di non sentire. Di essere dentro quel corpo.
E quel corpo, che è sempre stato un amplificatore del suono del mondo, del fragore della vita, all’improvviso si trova a essere il guscio fragile di un silenzio che piomba addosso inatteso e che non vuol essere accettato. Non ci sono lacrime scontate in questo film, solo ci si sente spettatori di una rabbia che non sa e non può sfociare, di una frustrazione che si fa rifiuto della resa. Guardiamo quest’uomo che si muove attraverso il silenzio, percepiamo le sue emozioni a livello sensoriale, siamo spettatori e ascoltatori di un rumore metallico che da gioia si fa illusione infranta. Osserviamo i suoi passi lungo la strada che lo conduce a spogliarsi di tutto ciò che ha sempre creduto essenziale e che forse è solo “tossico”, rendendosi consapevole della bellezza di quei momenti di quiete, l’unica vera “oasi di pace” che davvero non lo abbandonerà mai.
Francesca Pandora Belsito