Malcolm e Marie, recensione del film Netflix
Malcolm e Marie è un film diretto e scritto da Sam Levinson, creatore della fortunata e apprezzata Euphoria, serie tv in onda su HBO.
È la prima pellicola completata dopo lo scoppio della pandemia, distribuita globalmente su Netflix a partire dal 5 febbraio 2021. In questo modo, il colosso streaming continua ad aggiudicarsi sempre più produzioni originali, che riscuotono successo di pubblico e critica e, soprattutto, come in questo caso, fanno molto parlare di sè. Tra queste ricordiamo, infatti, il recentissimo Pieces of a woman, che ha ottenuto anche una candidatura agli Oscar.
Realizzato in gran segreto e in piena pandemia tra giugno e luglio 2020, Malcolm e Marie ha due peculiarità che saltano subito all’occhio di chi guarda. Innanzitutto, è stato girato su un unico set: si tratta di una proprietà di 33 acri sita in California. Poi, le riprese in bianco e nero sono state effettuate su pellicola 35 millimetri. Particolarità tecniche che si intrecciano a una sceneggiatura altrettanto singolare.
Malcolm e Marie e maccheroni al formaggio
Malcolm e Marie, film in bianco e nero di quasi due ore, si svolge nell’arco di una notte, nello spazio di una casa immersa in una campagna isolata. I due unici personaggi e protagonisti sono un uomo e una donna: Malcolm e Marie. Di ritorno dalla prima del film di lui, regista emergente, la coppia inizia a litigare. In questo modo, tra parole furiose, rancore represso, silenzi carichi di rumore, lacrime, morsi, desiderio smorzato, va avanti per tutto il tempo.
Più i minuti scorrono, più la pellicola si carica di tensione e noi ci troviamo, spettatori, a osservare, con imbarazzo e curiosa avidità , a tratti perfino con irritazione, il litigio di questa coppia. Un botta e risposta dopo l’altro, le scene si susseguono rivelando la notturna quotidianità dei due. E, tuttavia, qualcosa continua a risultare innaturale, come una frequenza disturbata. Lei prepara maccheroni al formaggio, lui mette su della musica, vanno in bagno, più volte sono sul punto di fare l’amore. Tutta la normalità di un rapporto amoroso… ma qui condita di urla, occhiatacce, proclami di odio e dolorose ammissioni.
L’amore sì… per il cinema
Marie, musa e compagna di Malcolm, è furiosa con l’uomo per essere stata dimenticata. Nel discorso di ringraziamento per la prima del film, il giovane regista ha dimenticato di ringraziarla. Questo motivo, solo in apparenza effimero, diviene causa e pretesto di una discussione lunga e logorante, che si accende e spegne come una fiamma, alimentata di volta in volta da scintille differenti, tra errori rinfacciati e torti subiti.
In questo continuo dilagare di carne e verbo, s’inserisce la mania autoriale del regista, che tuttavia finisce per apparire autoreferenziale e sottilmente pedante, quasi come se Malcolm lo rappresentasse. Tra relazioni passate, tradimenti, abusi e salvezza, le parole infuocate del litigio si fanno frammenti di un discorso sul cinema. Accogliendo a pretesto una recensione, peraltro positiva, ricevuta dal suo film, Malcolm mette in scena una feroce critica alla critica cinematografica. Questa è rea di cercare a tutti i costi un messaggio, spesso politico, nell’opera di un regista, che finisce in questo modo per perdere di autenticità .
Un Carnage di coppia
Nell’esasperato dialogo dei due protagonisti, l’autenticità del cinema si fa specchio dell’autenticità di un amore che si consuma e si espande nella spigolosa geometria del rapporto, simboleggiata da spazi e angoli della casa. Potremmo definire Malcolm e Marie una sorta di Carnage amoroso, forse però privo della pungente empatia della pellicola di PolaÅ„ski. Molto devoto ai drammi sentimentali – si pensi soprattutto a Storia di un matrimonio di Noah Baumbach o all’iconico Chi ha paura di Virginia Woolf? – Malcolm e Marie punta tutto sulla straordinaria interpretazione dei due attori.
Da una parte abbiamo Zendaya, ormai nel momento d’oro della sua carriera, che sembra non sbagliare mai un ruolo, sempre perfetta e priva di sbavature, dall’altra il figlio d’arte John David Washington, consacrato da Spike Lee con Blackkklansman. Le loro interpretazioni sono così intime e allo stesso tempo realistiche da risultare universali, ben lontane dalla macchietta umoristica di certe scene di coppia. Soprattutto in una pellicola, come questa, in cui per più di un’ora e mezza si assiste a un concitato diverbio, di cui si riescono quasi a provare l’esasperazione, il fastidio e la malinconia.
Un dramma sfuggente
Pochi drammi sentimentali come Malcolm e Marie hanno le potenzialità giuste per riuscire vincenti. Un regista creativo e dall’occhio empatico, una coppia di attori formidabili e che si è rivelata anche affiatata, un solido soggetto su cui poter contare. Eppure… qualcosa stride.
Forse troppi sono i pensieri su cui la pellicola indugia. Salta inesorabilmente dai discorsi amorosi all’amore per il cinema, dal desiderio più cupo del sesso all’abuso di sostanze. E poi, qui e lì, sono lasciate cadere certe affermazioni Sono stralci di pensiero, che toccano l’universalità di certi temi, quali razzismo e socialità , che meriterebbero, forse, un approfondimento adeguato e di non essere meri pretesti. In questo vortice di vita e metavita, le emozioni scorrono vivide, superandosi, sovrapponendosi e raggiungendo, infine, uno stato di quiete. Una pacifica accettazione, la tappa finale. Così tanto c’è da sentire, vedere, elaborare che forse è difficile acciuffare un pensiero soltanto. E, alla fine, l’unico che resta davvero impresso, sopra tutti, è che
quando hai capito che una persona ti sta vicina e ti ama, va a finire che non ci pensi più.
Francesca Belsito