Il Re Leone: effetto nostalgia o flop? Recensione
Il Re Leone è tornato al cinema nelle vesti di live-action dopo 25 anni dall’originale. Avrà convinto?
La Disney ha ormai messo in moto la macchina del live-action e non sembra volersi fermare. La domanda, però, è: cosa dobbiamo aspettarci? Novità ? Adattamenti fedeli? Rispondere non è affatto semplice. Tuttavia, una certezza sembra esserci (al di là degli intenti in termini economici): ciò a cui si mira è sfondare la barriera emozionale di chi guarda. Sembra questo anche il motore alla base de Il Re Leone.
Il passato può far male?
Era l’ormai lontano (sigh!) 1994 quando, per la prima volta, abbiamo conosciuto Simba, Scar e tutti gli altri abitanti della Savana. Allora, bambini, abbiamo pianto alla morte di Mufasa e ruggito di gioia quando il nuovo sovrano si è affacciato, vittorioso, dalla Rupe dei Re. Dopo tutto questo tempo, Disney ha pensato di farci rivivere quei i traumi e le emozioni e di far provare le medesime sensazioni a una nuova generazione. A guardarlo senza l’innocenza dell’infanzia, Il Re Leone è questo. È un crudele rito di iniziazione al mondo adulto, attraverso la perdita di un genitore, la fine dell’infanzia e una dolorosa ma necessaria crescita personale.
Occhi da bambino probabilmente non sarebbero in grado di cogliere il portato di emozioni che una pellicola d’animazione come questa porta con sè, ma forse è questa la filosofia Disney: “divertiti ora che sei bambino con le avventure di questo goffo leoncino, poi tra qualche anno imparerai la vera lezione!“. Quasi come se Disney, con questo live-action, volesse appunto risvegliare nel bambino ormai cresciuto le emozioni di allora, oggi cresciute assieme a lui.
Un live-action con animali parlanti può mirare al cuore?
Tutti, almeno una volta, abbiamo visto Il Re Leone e pianto di fronte al piccolo Simba che prova invano a svegliare suo padre. Quello che davvero colpiva nel classico d’animazione di 25 anni fa, più della storia di formazione narrata e degli insegnamenti lasciati, è la potente espressività degli animali della savana. Proprio così. Sebbene Il Re Leone non sia il primo classico Disney con protagonisti degli animali parlanti, ecco dinanzi a noi animali ferini, che però ridono e si commuovono. Animali dotati di parola e di un volto emozionalmente antropomorfo. Come esseri umani, questi animali esprimono gioia, dolore, brama e paura.
Chiunque, approcciandosi alla versione live-action, si sarà chiesto quanto il realismo della rappresentazione potesse compromettere l’emozione che, invece, tradisce uno sguardo “umano”. D’altra parte, una pellicola come questa, realizzata interamente in cgi, puntava, per ovvie ragioni a una rappresentazione che fosse più realistica possibile. Perciò, nessuno si sarebbe aspettato di rivedere il sopracciglio di Scar sollevato in segno di disapprovazione o l’espressione capricciosa di Simba nel sentirsi chiamare “cucciolo”.
Un documentario su animali parlanti
Ecco qui il punto debole della pellicola. L’espressione degli animali è così “dal vero” che, per quanto si possano intravedere un accenno di sorriso o lo sguardo famelico del predatore nell’ombra, si perde buona parte della carica emotiva, mancando il risultato raggiunto dall’originale animato. Il Re Leone versione 2019 è un capolavoro… di computer grafica. Ogni scena del film, ogni singolo animale, peli, zanne: tutto è realizzato digitalmente in modo così “naturalistico” da sembrare vero.
Solo una è l’inquadratura “dal vivo” del film. Il campo lunghissimo appena all’inzio, quel tramonto che cala sulla savana africana, in cui non appaiono animali: ecco, è questa l’unica ripresa vera e propria. A partire da quel momento, tutto ciò che scorre sullo schermo è creato in digitale. E tutto sembra così vero che, se non fosse per il fatto che gli animali effettivamente parlano, sembrerebbe di guardare un documentario di National Geographic. Chiunque sia cresciuto col cartone avrà azzardato un paragone tra le due opere e, probabilmente, quasi a tutti sarà rimasta sotto pelle una sensazione d’incompiuto. Non sarà mancato quel brivido lungo la schiena, mentre Rafiki solleva il cucciolo di leone e le musiche note risuonano nelle orecchie. Ma è sufficiente per apprezzare Il Re Leone?
Il fedele iperrealismo de Il Re Leone
Diversi nostalgici hanno apprezzato il lungometraggio Disney, ma molte sono state anche le accuse. Tanti hanno additato la sottile strategia di marketing di un film che è comunque la copia esatta di un classico già visto. Un classico che non aveva bisogno di revisioni o rimodernamenti in altre tecniche. Il regista Jon Favreau, fin da prima dell’uscita nelle sale, si è trovato costretto a dover smontare le polemiche. Qual è la verità allora? Questa versione de Il Re Leone è, a tutti gli effetti, un adattamento fedele rispetto a quella del 1994, ma parlare di copia carbone sarebbe riduttivo. Senza entrare nel merito di se e come i live-action debbano essere fedeli rispetto agli originali, i cambiamenti ci sono stati, sia narrativi sia stilistici.
La decisione di realizzare la pellicola con la tecnica dell’animazione digitale fotorealistica e la conseguente ricerca di realismo hanno determinato delle deviazioni narrative e, perciò, l’eliminazione di alcune scene del cartone: come quella in cui compare il fantasma di Mufasa, solo accennato e non esplicitamente mostrato. La mancanza di espressività per forza di cose influisce sul percorso narrativo: puntando al realismo, gli animali sono stati privati delle loro caratteristiche antropomorfe e ciò ha comportato un ridimensionamento della comicità fisica nonché trasformazioni nell’aspetto. Parecchi avranno notato la diversità dello Scar del live-action, comunque ben distinguibile da Mufasa, non solo per la cicatrice ma anche per la sua magrezza e l’esiguo pelo della criniera. Allo stesso modo, sono mancati il bastone di Rafiki, che compare solo sul finale, e il suo discorso a Simba sull’importanza dell’imparare dal passato.
Si ride e si impara nel cerchio della vita
Le modifiche stilistiche si sono accompagnate, ne Il Re Leone, ad alcuni aggiornamenti in chiave contemporanea. Il live-action, rispetto all’originale, ha puntato di più su una parentesi “etica”, che va a braccetto con la politica Disney e con l’attualità . Ad esempio, il facocero Pumbaa diviene un pretesto per accennare al problema del body shaming: lo si comprende dal fatto che, in modo dispregiativo, venga definito “ciccione” e non più “maiale”.
Rimane invariata l’ironia di fondo che pure permeava il film originale, ma qui si lega a un più sostenuto apparato “riflessivo”, sotto forma di veloci momenti che pure non turbano la spensieratezza della pellicola. Perfino il background dei villain assume toni più maturi: le motivazioni dietro alle azioni di Scar sono approfondite. Così, la semplice invidia si trasforma in brama di potere, la stessa che già lo aveva spinto a sfidare il fratello per il trono. Le iene perdono in carica comica, non sono più solo scagnozzi di Scar, ma acquistano un ruolo più serioso e meno superficiale.
Come figlia dei nostri tempi, è stata aggiunta un’altra scena che mostra la spiccata volontà di dare più risalto ai personaggi femminili, non sottomessi ma leonesse che ridono in faccia al pericolo. Ecco, quindi, la fuga di Nala dopo aver visto il maltrattamento di Scar a Sarabi e la resistenza di quest’ultima alle avances dell’usurpatore (elemento, questo, tratto dalla versione dello spettacolo teatrale, mitigando il tema delle molestie).
Sul finale, poi, è proprio la compagna di Mufasa a capire che proprio il cognato è responsabile della morte del marito. Godibile anche la scena meta-cinematografica in cui, invece di imbastire il balletto per distrarre le iene, il suricata Timon si mette a parlare in francese improvvisando Stia con noi e omaggiando, così, La Bella e la Bestia.
Melodie vecchie, riprese dal cartone Il Re Leone
Anche per Il Re Leone, come per gli altri live-action Disney, si è scelto di ricorrere alle canzoni originali. Ne Il cerchio della vita si è mantenuto, in parte, l’audio del 1994, ossia la strofa iniziale in zulu cantata da Lebo M., che allora lavorò al fianco di Hans Zimmer, concentrandosi sulla componente africana delle musiche.
Ciononostante, altri brani non sono stati esenti da riarrangiamenti: è il caso di Hakuna Matata, in cui Timon stavolta non censura simpaticamente la parte sui problemi intestinali di Pumbaa. Il Leone si è addormentato, invece, è stata allungata per mostrare altri animali della foresta in cui vivono il suricato e il facocero. Un rimaneggiamento è toccato anche a Sarò Re, sia modificando il pezzo del testo in cui Scar insulta le “vuote espressioni” delle iene, sia per esigenze di fotorealismo nella rappresentazioni degli animali – esigenza che, del resto, ha determinato il ridimensionamento di altri inserti musicali – eliminando, di fatto, anche la raffigurazione squadrista delle iene e l’intento totalitarista dello stesso Scar.
Due nuove canzoni sono state, inoltre, aggiunte. La prima è Quando il destino chiamerà , originalmente cantata da Beyoncé, che fa da sottofondo alla scena in cui Nala e Simba tornano ad affrontare Scar. La seconda è Never too late, scritta e cantata da Elton John (già autore delle canzoni nel 1994), in corrispondenza dei titoli di coda.
… e voci nuove
Il doppiaggio è stato rinnovato. I due protagonisti, nella versione adulta, sono interpretati da Marco Mengoni ed Elisa, cui sono state affidate quindi sia le parti parlate che cantate. Forse una scelta discutibile quella di affidare un lavoro simile a due doppiatori non professionisti. E, per quanto molto si siano impegnati ed è apprezzabile, la loro incertezza si è percepita.
Nella parti cantate, invece, Mengoni ed Elisa hanno svolto un lavoro eccellente. La loro versione di L’amore è nell’aria stasera è bella quanto l’originale, forse anche di più. Ottimi, sia nel canto che nel doppiaggio, Edoardo Leo e Stefano Fresi, già collaudata coppia cinematografica, nei panni di Timon e Pumbaa. Scontata la menzione d’onore a Luca Ward che, con la sua voce roca, ha trasmesso la saggia profondità di Mufasa. E plauso, soprattutto, a Massimo Popolizio (ve la ricordate la voce di Voldemort?) che con il suo timbro basso e graffiante ha reso giustizia alla melliflua ingannevolezza del subdolo Scar. Entrambi non hanno fatto rimpiangere Tullio Solenghi e Vittorio Gassman.
Il Re Leone tra live-action e aspettative
Non è facile tirare le somme dopo la visione de Il Re Leone. È pur sempre un rifacimento, anzi, il rifacimento di un film già perfetto ma con l’uso di una tecnica di animazione fotorealistica. Probabilmente, c’è ancora incertezza su come interpretare quest’ondata di live-action che Disney ci fa piovere addosso, anche senza indulgere alle motivazioni economiche che la sottendono. I punti di vista in merito si fondono e confondono: se il remake è troppo fedele, manca originalità ; se prende le distanze dall’originale, è come rovinarlo brutalmente. Come possiamo, perciò, approcciarci a un live-action? Per quanto subiamo il fascino dei film originali e del loro portato in termini di emozioni e ricordi legati all’infanzia e al momento della prima visione, occorre, però, sforzarsi di vedere tali rifacimenti con altri occhi, come fosse la prima volta.
Il Re Leone di Jon Favreau è una pellicola imponente, frutto dei nostri tempi. Fedele per quanto possibile all’originale, anch’essa mira al cuore dello spettatore, solo in modo diverso. Favreau, con rispetto, ha ripreso le scene chiave del cartone del 1994, riuscendo a essere evocativo a modo suo. L’uso della cgi è magistrale, l’impressione, potente, è quella di essere immersi nella savana africana. Le scenografie digitali sono maestose e la fotografia è un piacere per gli occhi. L’esperienza di visione è in ogni caso meravigliosa.
Senza pensieri?
L’iperrealismo sembra dunque essere, insieme, il punto debole e il punto di forza de Il Re Leone. La tecnica dell’animazione fotorealistica fa guadagnare in fastosità visiva, spalancando la strada a pellicole simili, ma spegne un po’ il pathos. La pellicola non è piatta e fredda. Una storia in sè toccante, sorretta da un apparato visivo eccezionale, col fondo di melodie che riaccendono vecchie emozioni… tutto questo è toccante. La domanda è: manca qualcosa? Sì. E sono le espressioni e il tratto comico della fisicità animale, elementi impossibili da riprodurre in contesto così realistico e naturalistico. Forse bisognerebbe chiedersi, dopotutto, in che misura la nostalgia influenza la visione, trainata dalla forza dei ricordi della nostra infanzia.
Una possibile risposta potrebbe risiedere nella leggerezza. Magari vale la pena concedersi, di tanto in tanto, la possibilità di tornare bambini, per qualche ora, e lasciarsi andare a una visione spensierata, senza pensare troppo al passato… ormai è passato. E se temete che il confronto con l’originale non possa reggere…
chi vorrà vedrà , in libertà …
Hakuna Matata!
Francesca Belsito