Dune, Recensione di un cinema che si fa d’autore
Dune di Denis Villeneuve è uno dei film che più sono stati attesi nell’ultimo anno (e forse anche più).
Complice il lunghissimo rinvio di 12 mesi causa pandemia, la pellicola tratta dal capolavoro della fantascienza di Frank Herbert si è fatta bramare dalle sale. A stuzzicare la curiosità del pubblico, in buona parte ormai purtroppo dimentico dell’opera letteraria, soprattutto i nomi dello stellare cast che hanno attirato, inizialmente, l’attenzione più del film in sè.
Presentato Fuori Concorso a Venezia, Dune di Villeneuve non è il primo adattamento del romanzo: del 1984 la versione di Lynch. Adattamento, questo, che piacque all’allora vivente autore per la fedeltà all’opera originale, ma che andò incontro a una controversa post-produzione, tale che lo stesso Lynch ha dichiarato la volontà di prenderne le distanze. Versione, invece, mai realizzata fu quella di Alejandro Jodorowsky, un lavoro immenso che avrebbe visto, forse, anche il (costosissimo) coinvolgimento di Salvador Dalì.
Dune, ossia il pianeta Arrakis
È Dune stesso il primo grande protagonista di quest’opera mastodontica. Desertico e brullo, abitato da una popolazione indigena nota per la sua ferocia, battuto da violentissime tempeste di sabbia, Arrakis è uno dei pianeti più importanti e difficili nel mondo creato dalla penna di Herbert. La sua importanza si deve al melange, una spezia particolare, fondamentale per i viaggi intergalattici e considerata anche “droga della salute“. Possiamo ben capire, perciò, quanto in un universo dominato dal profitto, costellato di grandi casate nobiliari poste sotto l’egida di un imperatore, questa sostanza sia estremamente preziosa. Unico problema: il melange è estraibile solo su Arrakis.
E qui si aprono la narrazione di Herbert e quella di Villeneuve: dopo anni di dominio (e sfruttamento) dei potenti e spietati Harkonnen guidati dal barone Vladimir (Stellan SkarsgÃ¥rd), l’imperatore decide di trasferire il feudo del pianeta alla casata degli Atreides. A guidarla il saggio duca Leto (Oscar Isaac), accompagnato dal figlio Paul (Timothée Chalamet) e dalla compagna Lady Jessica (Rebecca Ferguson).
Ed è proprio qui che incontriamo il secondo protagonista, Paul Atreides. Giovane figlio del Duca, educato dalla madre alla via Bene Gesserit (organizzazione religiosa esoterica i cui membri sono addestrati al condizionamento fisico e mentale), Paul è tormentato da una serie di sogni, che nella pellicola ricorrono di continuo, inframmezzando le scene. L’incontro con una Reverenda dell’ordine, i riferimenti insistenti a una profezia sull’arrivo di uno kwisatz haderach, i sogni ricorrenti che preannunciano un futuro sanguinoso e una nuova ideologia, rendono Paul consapevole dell’esistenza di uno scopo nella sua vita, uno scopo terribile, che sarà lo snodo di tutta la narrazione.
Da Herbert a Villeneuve: il modello letterario
Il Dune di Frank Herbert è considerato il “romanzo di fantascienza più venduto di tutti i tempi“. Apripista di una imponente saga letteraria, il ciclo di Dune, questo libro è ad oggi un caposaldo della narrativa sci-fi. E, pur tuttavia, sono in pochi nelle nuove generazioni ad averlo letto o tanto meno a conoscerlo. È, in gran parte, proprio grazie alla trasposizione cinematografica realizzata da Villeneuve che oggi l’opera sta riprendendo nuova vita.
Del resto, il romanzo di Herbert non può essere ascritto in modo asettico al genere fantascientifico. Dune soprattutto – e in generale l’intero ciclo segue questa via – è un romanzo che intreccia in maniera sapientissima molteplici tematiche inserite in un contesto sci-fi e pur dotate di caratteristiche di profonda innovazione. Pubblicato nel 1965, il romanzo si focalizza su Arrakis, landa desertica, unico luogo di produzione della spezia, mitica sostanza imprescindibile all’interno di una società simil-feudale arroccata intorno a un imperatore galattico e sorretta da Gilde e da un Landsraad (un’organizzione che riunisce i nobili delle varie casate).
E proprio ad Arrakis e alla sua complessa struttura, alle interazioni tra il suo ambiente e gli organismi che lo popolano, si lega una delle tematiche portanti del romanzo: l’ecologia. Sfruttamento delle risorse, risparmio delle stesse, la loro distribuzione tra genti di diversa estrazione sociale sono solo alcuni dei motivi che corrono sotterranei all’opera. E poi ancora simbolismo, religione, esoterismo, filosofia, politica ed economia. Perfino femminismo. Dune è, dunque, un romanzo complesso, non lineare, denso di tematiche e concetti anche difficili, sorretto da una scrittura aspra e abbagliante. Come il deserto.
Blockbuster o cinema d’autore
Considerata, dunque, la complessità del materiale di partenza è facile comprendere le difficoltà legate alla sua trasposizione su schermo. Proprio e anche per questa ragione, soprattutto dopo l’esperimento lynchiano, è chiaro quanto un film di questa portata possa essere divisivo. E in effetti lo è. Come divisiva è anche la carriera registica dello stesso Villeneuve, da Arrival fino, soprattutto, a Blade Runner 2049 (con buona pace di chi si aspettava un Blader Runner versione Ridley Scott 2.0). Ma proprio in virtù delle sue precedenti esperienze, possiamo affermare con certezza che nessun’altro avrebbe potuto, oltre il regista canadese, assumersi l’onore e l’onere di realizzare questo film.
Villeneuve è un regista dallo stile assai particolare. Non è amante della spettacolarità , sebbene possieda un occhio attento al bello. Attraverso le immagini preferisce soprattutto spingere a una riflessione piuttosto che a un semplice intrattenimento. Tuttavia, quella di Dune è pur sempre una grande produzione, che ha bisogno di guadagno e per guadagnare necessita di un pubblico. Come conciliare, dunque, la cifra stilistica di Villeneuve con la necessità di fare un remunerativo kolossal? Semplicemente, non si può.
Dune è un’opera d’autore travestita da blockbuster. Aspettarsi navi spaziali, alieni e gargantueschi effetti speciali significa andare incontro alla delusione: inevitabilmente, il film non piacerà . E, d’altra parte, come potremmo aspettarci un altro Star Wars (che pure da Dune ha attinto a piene mani), da un film che s’ispira a un’opera che parla di profezie e religione, di filosofia e destino, di imperialismo e libero arbitrio e il cui autore preferisce lunghe e austere digressioni politiche al racconto minuzioso di scontri e battaglie?
Dune: epopea politica o fantascienza pura e cruda?
Una volta inquadrato Dune come un film d’autore travestito da blockbuster, è in questa ottica che la pellicola può essere vista, compresa e ovviamente apprezzata. Infatti, solo prendendo il film per quello che è realmente se ne possono ammirare i diversi aspetti, rifuggendo da valutazioni semplicistiche. Solo chi si aspetta fantascienza pura e cruda può annoiarsi o trovare il lungometraggio terribilmente lento e dispersivo.
E, probabilmente, lenta la prima parte della pellicola lo è, ma non per forza è questo un male. Nel primo atto, Villeneuve prende tutto il tempo di cui ha bisogno per gettare le basi di un mastodontico world building. Permettere che un pubblico digiuno dell’opera letteraria assaggi un cibo così ricco e speziato, richiede pazienza e necessariamente anche un certo approfondimento su personaggi, ambienti, costumi, concetti e, pertanto, la messa in gioco di un certo numero di informazioni, disseminate in molte pagine di libro, e giocoforza condensate in una poderosa manciata di minuti di lungometraggio. Saggia la scelta di dividere la pellicola almeno in due parti. In un film del genere la superficialità sarebbe in grado di minarne la buona riuscita.
L’occhio di Villeneuve e l’orecchio di Zimmer
Di Dune possiamo dire che non sia un film tecnicamente perfetto, ma certo è dotato di una grande potenza sensoriale che cattura lo spettatore e lo avvolge per tutta la sua durata. Effetto, questo, che non si rivolge soltanto agli appassionati dell’opera di Herbert, ma anche a tutti coloro che si lasciano rapire dalle suggestioni emanate dalla pellicola. Suggestioni, d’altronde, che non hanno bisogno di un’epica spettacolarità . La visione di questo lungometraggio è di per sè un’esperienza immersiva, su più livelli.
Le scenografie, i costumi, i piccoli dettagli delle ambientazioni, anche gli effetti speciali sono estremamente curati. Minimal, in perfetto stile Villeneuve, ma raffinati, dotati di un’eleganza delicata. D’altra parte, il costo della pellicola, se consideriamo si tratti di un film di fantascienza, è stato abbastanza contenuto: solo circa 165 milioni di dollari. Questo anche perchè il regista ha spesso preferito, a intrusivi effetti speciali, riprese dal vero come quelle nel brullo e imponente deserto del Wadi Rum in Giordania. Tutto questo è nobilitato, del resto, dallo splendido occhio di Villeneuve che sembra avere il potere magico di rendere solenne qualsiasi cosa rientri nella sua inquadratura.
A coadiuvare l’occhio del regista, ritroviamo l’orecchio e la maestria del compositore Hans Zimmer. Potrà non piacere, potrà talvolta imitare se stesso e tuttavia la sua musica è un’avvolgente coperta. Non un’aggiunta alla pellicola, ma una vera protagonista che fa propria la scena con e a volte perfino più dei personaggi stessi.
Un cast stellare su Arrakis
Per la trasposizione cinematografica del romanzo, Villeneuve è riuscito ad avvalersi di un cast di nomi altisonanti. Tutti, per quanto non per tutti il minutaggio su schermo, per ovvie ragioni, sia stato clemente, sono stati in grado di conferire anima a personaggi resi tridimensionali già dalla penna di Herbert. Il Paul di Timothée Chalamet è un giovane tormentato da sogni e dubbi, incerto e intelligente, con le cui paure e riflessioni non si può non empatizzare. Sebbene siano assenti nel film i monologhi interiori che corrono lungo le pagine del romanzo, il lavoro di Chalamet sul personaggio, tra movenze ed espressioni del viso, è degno di nota. La sua prova attoriale potrebbe forse renderlo appetibile nella prossima stagione dei premi.
Da non sottovalutare neppure l’intensa performance di Rebecca Ferguson nei panni di Lady Jessica e quella di Stellan SkarsgÃ¥rd che riesce a dare vita a un viscido e mellifluo Vladimir Harkonnen. In quest’ultimo caso, l’aspetto del barone è assai fedele alla descrizione del romanzo, ma d’altronde tutta l’opera di Villeneuve lo è, senza per questo risultare troppo pedante. La stessa Zendaya sembra dare vita a una credibile Chani Kynes, personaggio che avrà grande importanza nella vita di Paul e che abbiamo già imparato a conoscere, seppur sospesa tra sogno e realtà .
Dune, ne vale la pena?
Alla luce di quest’analisi e di una brevissima digressione sul modello letterario, la domanda da porsi è soltanto una: vale la pena vedere Dune? La risposta è: certo che sì, ma a una piccola condizione, ossia dimenticare a casa le aspettative. E non perchè non avere aspettative faccia sembrare più bello un brutto film.
Dune è un bellissimo film, ma non è un kolossal di fantascienza. È un film d’autore (più costoso), un messaggio d’amore da parte del regista verso l’opera. E se all’inizio decifrare questo messaggio potrà risultare ostico, abbiate pazienza, anche se non avete letto il romanzo. Lasciatevi trasportare dalla musicalità delle parole, dalla loro lentezza calcolata e calma, fate in modo che la potenza delle note fluisca in voi. Immergetevi nel flusso delle immagini ed, ecco, siete qui, proprio su Arrakis di fianco a Paul. Insieme a lui state per iniziare un percorso, non abbiate paura, non cedete a questa piccola morte. Guardatela in faccia e “quando sarà passata […] là dove andrà la paura non ci sarà più nulla“… Soltanto la potenza visiva di una grande storia.
Francesca Belsito